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Pipino, figlio di Carlo Magno, mise i soldi, Ratoldo invece l'idea: così nacque S. Zeno
Pipino, figlio di Carlo Magno, mise i soldi, Ratoldo invece l'idea: così nacque S. Zeno

Il complesso di San Zeno in Verona rappresenta, fin dai secoli più alti del medioevo, uno dei principali fulcri della vita culturale, religiosa e artistica della città. Le progressive fortune di questo insediamento, che accolse una delle realtà benedettine più rilevanti del Nord della penisola italiana, si riverberano nella straordinaria quantità di opere d’arte e nelle complicate stratificazioni architettoniche occorse in ben oltre un millennio di vita.

La storia di questa realtà cultuale è indissolubilmente legata alla figura del confessore Zeno, che resse il seggio episcopale veronese per lungo tempo, in un momento imprecisato compreso all’incirca fra il 360 e il 380, sino al sopraggiungere della morte. Purtroppo, le fonti dei primi secoli, già scarse d’informazioni cronologiche puntuali riguardo alla vita del santo, risultano lacunose circa i tempi di predisposizione della sepoltura destinata ad accoglierne le spoglie mortali, le eventuali traslazioni provvisorie e, soprattutto, non fanno menzione del sito preciso in cui fu predisposta la prima chiesa intitolata al vescovo.

L’area che oggi ospita le strutture zenoniane si trovava, in epoca romana, nel punto d’intersezione di due importanti assi viari che mettevano la città in comunicazione diretta con le altre realtà territoriali e urbane della penisola italiana e delle aree oltremontane. La principale, la via Postumia, con asse est-ovest lungo la pianura Padana, collegava Genova e Aquileia, l’altra, la via Gallica, sorta più tardi per le mutate condizioni politiche e militari, diramandosi dalla prima in prossimità di Verona proseguiva fino a Milano, passando per le maggiori città del nord Italia. Proprio nelle vicinanze di questo crocevia, appena all’esterno delle mura urbane, si trovava una delle più estese necropoli di Verona, sviluppata a sudovest del centro abitato. Non stupisce quindi di trovare sulla canna del campanile di San Zeno alcune notevoli sculture romane appartenenti a qualche ignota struttura funeraria, quasi certamente rinvenuta nell’intorno, inserite nella muratura romanica con il preciso intento di esporle alla vista per la loro pregevole qualità.

È probabile che il sepolcro di Zeno fosse stato predisposto fuori dalla città, in un cimitero già esistente da diversi secoli, in cui vi era uno spazio riservato ai cristiani. È destinata, invece, a rimanere per ora irrisolta la questione se nei pressi dell’Adige preesistesse una cappella, se ne sia stata edificata una appositamente nel momento in cui avvenne l’inumazione di Zeno, o se sia sorta qualche tempo dopo la morte del vescovo per proteggerne la tomba, divenuta meta di molte visite. In tutti i casi, questo primigenio organismo ecclesiastico assunse subito una valenza cultuale.

La prima attestazione dell’esistenza di un edificio intitolato al confessore è fornita dal sermone In natale Sancti Zenonis di Petronio, vescovo di Verona tra il 412 e il 429, recitato innanzi ai fedeli e al clero proprio nella chiesa, appena ampliata, in cui riposava il corpo di Zeno.

Il sopraggiungere della dominazione carolingia determinò una rinnovata e feconda stagione cultuale che, promossa in città e nella diocesi in modo particolare da due vescovi provenienti dall’abbazia di Reichenau, i monaci Egino e Ratoldo, ebbe uno dei propri cardini nella promozione della figura di Zeno. L’erezione di una nuova basilica e la creazione di ambienti idonei a ospitare una comunità di monaci, probabilmente in questa prima fase non molto numerosa, furono di fatto uno dei risultati più emblematici della politica religiosa carolingia a Verona.

La tradizione pone la translatio di Zeno il 21 maggio 807, materialmente compiuta dagli eremiti Benigno e Caro, gli unici giudicati degni di toccare le sacre spoglie; in quel tempo le reliquie, levate dalla vecchia sepoltura, vennero inumate in un luogo riparato, un antrum opacum, predisposto nella chiesa appena ricostruita per volontà del vescovo Ratoldo e con il fondamentale ausilio finanziario del re d’Italia Pipino, il secondogenito maschio di Carlo Magno.

La più significativa trasformazione della cittadella zenoniana, dopo agli interventi carolingi, avvenne verso la metà dell’XI secolo, in un momento di piena espansione dei nuovi linguaggi del romanico. Davvero consistenti sono i segnali che inducono a ritenere questa nuova campagna edilizia di un’entità tale da provocare un considerevole mutamento all’aspetto complessivo del monastero. La fabbrica ascrivibile in primis a questa stagione è il campanile che si erge isolato oltre il fianco sud del tempio, edificato dall’abate nel primo anno del suo ministero con l’aiuto dei confratelli, e che sopravvive integro nelle forme dell’XI secolo solo fino alla sommità del possente zoccolo liscio, in grandi conci di pietra squadrata, provenienti di certo da qualche monumento antico della città.

La fase di maggiore sviluppo dell’abbazia si colloca fra l’XI e il XII secolo, quando furono integralmente riedificati il campanile, il corpo basilicale, il chiostro e, verosimilmente, altre parti del monastero, secondo i modi di un linguaggio romanico che si stava imponendo endemicamente in area padana: proprio in questa fortunata congiuntura lavorò a San Zeno una delle maggiori personalità artistiche del momento, lo scultore Nicolò, che lasciò nel protiro di facciata e in alcuni pannelli adiacenti al portale la testimonianza della propria indiscussa maestria. Non si possono, tuttavia, dimenticare le significative modifiche portate alla fabbrica fra XII e XIII secolo, con l’inserimento del famoso rosone, ruota della fortuna, in facciata e con la costruzione della grande cripta in onore del santo patrono.

Queste e innumerevoli altre opere d’arte furono testimoni di importanti vicende storiche, fra le quali i soggiorni di numerosi imperatori che, giunti a sud delle Alpi per necessità politiche o per impellenti esigenze militari, stabilirono a San Zeno la propria temporanea dimora. La presenza di uno di essi, nientemeno che il dotto Federico II di Svevia, fu probabilmente la ragione per la realizzazione dello straordinario ciclo pittorico duecentesco della torre abbaziale, all’interno di una loggia, che di certo rivestiva una funzione nodale nell’accoglienza degli ospiti più illustri dell’abbazia.

L’ultima intensa campagna di lavori si ebbe all’inizio del Trecento con la ricostruzione del chiostro e quindi, al volgere del secolo, con l’erezione del nuovo catino absidale, dove il lessico del gotico più maturo trovò una squisita formulazione in un elegante ed accentuato verticalismo. Proprio al centro del nuovo presbiterio, solo qualche decennio più tardi, fu collocata la pala che l’abate Gregorio Correr commissionò ad Andrea Mantegna, testimonianza capitale del Rinascimento nell’Italia settentrionale.

 

Testi tratti e adattati dal volume: San Zeno in Verona, Cierre edizioni, Sommacampagna (VR) 2014.

 

 

San Zeno in Verona

Testi di Fabio Coden e Tiziana Franco

Fotografie di Basilio e Matteo Rodella (BAMSphoto)

Cierre edizioni, Sommacampagna (Vr) 2014

edizioni.cierrenet.it

Formato: 30x40 cm

344 pagine

170 fotografie a colori

Testo italiano e inglese stampato in carattere Dante, su carta Tatami delle cartiere Fedrigoni di Verona, in 800 esemplari numerati

Copertina cartonata rivestita in seta e cofanetto rigido

€ 490,00