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L'arte di "pontificare" usando il legno dimostrazione di altissimo ingegno
L'arte di

Tre famosi ponti di legno, il ponte Sublicio legato all’eroismo di Orazio Coclide, il ponte sul Reno voluto da Giulio Cesare nel 55 a.C. e il ponte sul Danubio ordinato da Traiano sono la dimostrazione dell’altissimo ingegno costruttivo romano e consentono considerazioni aggiuntive ai diversi significati che questi manufatti hanno storicamente avuto. Uno dei temi in cui si esplica l’ingegno costruttivo è quello relativo ai ponti. Nell’ideazione di un ponte si può, fatta salva la sempre attuale tradizione e pratica costruttiva, scorgere e quantificare l’invenzione, il progetto, ovvero quanto di intelligenza strutturale il costruttore abbia aggiunto, tale da far assurgere i costruttori di ponti, ancora sotto Anco Marzio, all’ordine sacerdotale dei “pontefici” (pontes facere = costruire ponti). Costoro, come ci spiegano gli storici, erano esperti nel segreto delle misure e dei numeri. Ad essi era commesso il compito, sacro e politico, di sovrintendere alla costruzione e al taglio del ponte. Il verbo pontificare, infatti, è assunto come sinonimo del più alto grado del dire e del fare. Oggi il titolo di Pontefice indica colui che è in grado di gettare un ponte fra l’al di qua e l’al di là! Unire due sponde, comunque, è sempre un gesto carico di intenzioni, non solo tecniche, ma anche sociali, culturali ed economiche.

 

Questa nota riguarda la costruzione di tre ponti di legno romani. Famosi non solo perché sono collegati ad altrettanti eventi storici, ma per la loro tecnologia costruttiva, ancora oggetto di discussione, per la loro audacia e singolare concezione strutturale. Giustamente nell’immaginario di tutti noi, il ponte romano è di pietra. Molti di questi manufatti sono ancora in opera a dimostrazione delle eccezionali capacità costruttive raggiunte con l’arco e la pietra, non solo per la viabilità, ma anche per gli acquedotti. Il ponte di pietra, stabile e duraturo, era costruito dai romani per collegare territori sicuri, conquistati. Il ponte di legno era generalmente considerato provvisorio, di servizio. Forse il ponte di Traiano sul Danubio non appartiene a questa regola, ma teniamo presente che le pile del ponte sono manufatti enormi di pietra (la base di ogni pila, come hanno documentato gli scavi archeologici, era di 18x18m e la loro altezza di 20m). Le arcate di 30m erano di legno. Il ponte sul Danubio collegava stabilmente all’impero romano la Dacia, odierna Romania e Moldavia, conquistata da Traiano. IL PONTE SUBLICIO (507 A. C.) È il ponte legato all’eroismo di Orazio Coclide che da solo tenne a bada gli etruschi di Porsenna mentre i suoi compagni tagliavano i legami delle unioni lignee.

 

L’episodio viene collocato nel 507 a. C. Secondo gli storici, come Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso e Plutarco, fu costruito da Anco Marzio e fu il primo ponte per attraversare il Tevere, nei pressi del Gianicolo. Questo manufatto, costituito da stilate e travi (sublicius è parola derivata dall’etrusco e significa stilata, palificata, sinonimo di ligneus) per i nostri fini chiarisce una questione dibattuta: nei ponti romani gli elementi strutturali erano tenuti assieme da legami o perni? Vitruvio su questo punto non è chiaro. I traduttori del De Architectura dal 1400 in poi sono divisi ed illustrano le giunzioni eseguite sia con perni, sia con legami (v. esempio figure del castello ligneo). Per inciso ricordo che il testo di Vitruvio è giunto a noi privo di immagini, andate perdute. La vicenda del ponte Sublicio chiarisce che i nodi di confluenza delle aste erano tenuti assieme da legami, che i soldati recidevano qualora si decidesse di distruggere il ponte. Nella moderna tecnologia del legno per le unioni si usano perni di acciaio, sia per la velocità esecutiva, sia per la facilità di calcolo. Queste unioni però non permettono al legno quei piccoli movimenti ingegnerati ad esempio dalle escursioni igrometriche, mentre le legature, da questo punto di vista, sono da preferirsi.

 

L’eroico episodio di Orazio Coclide, alquanto enfatizzato durante il fascismo -siamo un popolo di eroi, santi e poeti- è stato rappresentato da molti artisti. Una ricostruzione verosimile, considerato che le testimonianze storichesono di quattro-cinquecento anni posteriori alla sua realizzazione, è quella di Gabriele Piva, oggetto di tesi di laurea che ho seguito nel 2001 all’Iuav di Venezia. Questo ponte ha in sé una particolarità, che sarà iterata. In caso di attacco, essendo il ponte un collegamento strategico, spesso vengono previsti dispositivi per interromperlo. Oltre che saperlo costruire, è necessario saperlo distruggere. A ciò, a volte, ci pensano i nemici! PONTE SUL RENO ORDINATO DA GIULIO CESARE NEL 55 A. C. Per questo ponte di legno l’aggettivo adatto è celeberrimo. Di esso, come scrisse Scamozzi e più recentemente Choisy, si occuparono molti elevati ingegni e con grandissima suttilità ne hanno cercato la costruzione e forse con fatiche infruttuose, senza pervenire alla verità. Nonostante la precisa, anche se asciutta descrizione di Cesare nel Libro IV, 17-18 del suo “De bello gallico”, la “strettezza” del parlare latino non consente facile ed univoca interpretazione.

 

Lo studio del ponte che Cesare ordinò nel 55 quando, terminata la conquista della Gallia si preparava alla campagna di Britannia, mi ha occupato per diversi anni e con diverse tesi di laurea. Solo la traduzione del brano di Cesare è stata un’impresa. Tutte ottime sul piano letterario, ma nessuna in grado di spiegare la tecnologia adottata. Ad esempio la parola fibula, letteralmente fibbia, è sicuramente la parola chiave, perché si tratta di immaginare un oggetto, che quanto più sia sollecitato, tanto più restringa e lavori. La traduzione del brano, riportata nella “finestra” è frutto della collaborazione col prof. P. Ventrice. Per assecondare la richiesta dei Galli di passare il Reno e dare una lezione ai Germani, Cesare fece costruire in dieci giorni un ponte di legno della lunghezza di 400m (illuogo è stato individuato nei pressi di Aquisgrana, oggi Aachen). Un ponte, perché né lui, né l’esercito romano era degno di attraversare il fiume con barche! I problemi da risolvere erano immani. Fra i suoi generali, con sé aveva tre legioni, ovvero circa 15.000 uomini, c’era -quasi certamente- anche un certo Vitruvio.

 

L’operazione fu preparata durante l’inverno ed eseguita all’inizio della primavera. Ho calcolato che occorse tagliare circa duemila alberi. Certo che usò tronchi non squadrati, piccola osservazione, che però squalifica tutte le interpretazioni con travi, ovvero tronchi squadrati, con le quali è più facile sia la carpenteria, sia i particolari costruttivi. Ad ogni buon conto, sintetizzo alcuni risultati di una ricerca che mi ha tenuto molto occupato e continua ad interessarmi. La lunghezza del ponte - 400m - presume che ogni giorno il ponte avanzasse di 40m  per concluderlo in dieci giorni. Come importante corollario, immaginando come potesse essere il cantiere, ho capito che la larghezza del ponte di 40 piedi, circa 12m, non è un’esagerazione, perché il ponte stesso è il cantiere, con carpentieri che vanno avanti ed indietro e macchine che abbisognano di spazio. La fibula, come aveva intuito Palladio, è lo strumento che fa si che un nodo strutturale più viene caricato, più si stringe e fa forza. È un vero e proprio stato di coazione. Lo schizzo chiarisce il funzionamento della fibula. Il sistema di avanzamento a sbalzo, per costruire senza andare in acqua, è chiarito dal rendering, alquanto datato e mi scuso, ma siamo nel 1993! Su questa meraviglia tecnologica che spaventò i Germani, che “fuggirono nelle selve” e che potrebbe equivaler oggi allo stupore che provocherebbe l’atterraggio di un disco volante in una nostra piazza, ho scritto in diverse parti (es. n. 8 di Adrastea, 1996) e seguito diverse tesi di laurea. Ma più si indaga, più l’ammirazione cresce, soprattutto per il geniale stato di coazione della fibula.

 

IL PONTE DI TRAIANO SUL DANUBIO (103-105 D. C.) Questa volta c’è anche l’aiuto visivo. Il ponte è infatti scolpito sulla colonna traiana, addirittura dal suo artefice Apollodoro, oriundo di Damasco, che era l’architetto ufficiale di Traiano. Cionondimeno, sapendo che il ponte è lungo 1km, più l’ammirazione cresce. Per capire di più ci siamo, con tesi e ricerche, concentrati ancora sul cantiere. Per costruire pile e rostri l’acqua del fiume è stata progressivamente deviata. Realizzati i rostri e le pile, di interasse di circa 40 (la luce netta fra le pile, è di 30m, essendo le pile larghe 18) risultano 40 campate! L’impalcato del ponte, come si vede nella colonna, è costituito da un arco di legno con più elementi sovrapposti sopra cui appoggia l’impalcato. Noi pensiamo che gli archi venissero prefabbricati a piè d’opera ed issati con macchine, quindi solidarizzate trasversalmente. Ma forse è una trasposizione di come oggi avremmo fatto, poiché molto poco sappiamo di storia della tecnica. La storia della tecnica, in particolare nel ns Paese, non è mai stata praticata e quando qualcuno se ne è occupato, ha restituito una storia aneddotica, più che una storia di evoluzione delle idee, scollegata dalle conquiste della scienza nei vari settori.

 

Ancor oggi la storia della tecnica non ha valore, poiché abbiamo la convinzione che i gradini del sapere tecnico già saliti non abbiano alcuna inferenza per l’innovazione. Invece, nella riscoperta del passato, spesso c’è la sorgente dell’innovazione. Dai pochi accenni a questi tre ponti di legno romani, a parte gli episodi storici sottesi, si intuisce che duemila anni non abbiano prodotto cambiamenti epocali. Penso che -nonostante tutto il nostro sapere tecnico ed i mezzi disponibili- un’opera come quella di Traiano non sarebbe facile da realizzare nemmeno oggi. Il ponte di Kintai-kyo in Giappone, meraviglia costruttiva dei pontieri giapponesi, poco si discosta dall’invenzione reticolare di Apollodoro.

 

Nemmeno rimarremo indifferenti nel veder costruire un ponte di 400m in dieci giorni senza toccare l’acqua. Tante altre opere del passato aspettano risposta, a cominciarem dalla modalità di realizzazione di un dolmen, con pietra apicale di alcune decine di tonnellate, oppure la posa, per restare su questo tema, della cupola monolitica del Mausoleo di Teodorico a Ravenna del peso di 230t. (l’equivalente di 230 automobili di media cilindrata). I ponti, comunque, più di altri manufatti, hanno dimostrato la capacità di pensare e fare dell’uomo nel corso dei secoli e le invenzioni sono all’ordine del giorno.
Prof. Franco Laner